Il Disastro di Molare

LA PASSERELLA DI CAPRIATA D'ORBA di Mario Tambussa

Ed ora affrontiamo il fatto tragico, ricordato ancora da molti anziani come “il giorno che è venuta giù la diga", giorno che ho cercato di ricostruire cronologicamente attraverso le ultime testimonianze.
Il 13 agosto di quel fatidico 1935, era un martedì. Nel grande invaso artificiale di Ortiglieto sopra Molare, costruito per produrre energia elettrica, dalle prime ore del mattino continuava a piovere forte. Alle ore 9 circa, a Capriata con cielo coperto, sembrava solo un giorno nuvoloso pronto a piovere. Angiulina dra Gura, che abitava all'inizio dell' allea, mandava sua figlia Pìpi ra Bodura a casa della sorella Maria con un'importante invito: "Venite ad "aiutarci" a mangiare i tagliarini col coniglio perchè stamattina, senza preavviso, Michele e suo fratello Gianotu sono andati in bicicletta a Voghera dalla loro sorella suora, suor Michelangela, a vederla prendere i voti ".
Maria rispondeva: "Va bene, dille che veniamo". Poco dopo Maria riceveva la visita di Elvira, una donna che con sua madre Antonietta Lago, detta ra Buscajòra, provvedeva ai pasti in caserma per i Carabinieri, ed abitando alla cascina Ospedale, in zona Oltreorba, tra i vari discorsi si faceva cenno all' acqua (non alta) dell'Orba. Frattempo il cielo si rabbuiava maggiormente ed Elvira, salutata Maria, decideva di affrettare il rientro.
Alle ore 10,30, a seguito della continua e forte precipitazione nel bacino di Ortiglieto lo scaricatore di fondo e la valvola a campana smettevano di funzionare. Per il Guardiano iniziava l' allarme.
A Capriata iniziava a piovere, e la lunga siccità sembrava finalmente scongiurata.
Alla cascina Ospedale l' Orba incominciava ad avvicinarsi al cortile di fronte alla lunga casa a manica. (La cascina Ospedale, così detta in quanta in un documento del 1196 era Ospitale per pellegrini e di proprietà dell'Abbazia di Tiglieto. Era una lunga costruzione est-ovest e quindi una grande barriera alla corrente in piena del torrente).
Alla cascina Gorra l' acqua iniziava ad allagare sia la strada di accesso che il cortile del fabbricato. Il maresciallo Martini della stazione di Capriata ed un carabiniere, dopo aver fatto l' ispezione a Predosa e passando da quelle parti per accorciare il percorso, causa l' acqua, non riuscendo a rientrare in caserma decidevano di fermarsi. (Il carabiniere sarebbe poi stato processato per aver abbandonato l'arma (il moschetto) nella stalla di Angiulì!) (La cascina Gorra, prima cascina Bruno dei marchesi di Acqui, poi chiamata Isola dopa le varie alluvioni, fa derivare il suo nome odierno dall' abbreviativo di Gorini o salici da fiumi.)

Alle ore 11 circa l' acqua dentro il grande bacino di Ortiglieto iniziava a salire velocemente mentre a Capriata, sotto ormai un cielo nero, continuava a piovere forte. Alla cascina Gorra l' acqua riusciva a rompere il fragile bastione che cintava la cascina raggiungendo l' altezza di circa 40 centimetri. Benito di 10 anni ed il cugino Flavio di 13 anni erano contenti perche erano uscite fuori, galleggiando, quattro palline da tamburello smarrite durante i loro giochi.
A Capriata, sempre sotto pioggia battente, suonava il mezzogiorno e a seguito delle fortissime precipitazioni nel bacino di Ortiglieto l' acqua raggiungeva il bordo delle due dighe, quella grande e quella piccola della "Sella Zerbino".
In casa di Angiolina, sulla tavola, c' erano i taglierini fumanti ma lei chiedeva alla sorella Maria di far mangiare i bambini mentre avrebbe fatto una corsa fino al Convento per vedere lo stato dell'Orba.

La sorella per tranquillizzarla, le raccontava della visita mattutina di Elvira e di come alla cascina Gorra, dove si trovavano i loro fratelli Batista ed Angiulì con le rispettive famiglie, nell'autunno precedente (15 novembre) non fosse successo nulla di grave. Angiulina, però, senza far caso alla pioggia, andava nella zona Convento, (da dove era possibile vedere il torrente in basso) e quando ritornava, bagnata fradicia nonostante avesse avuto l'ombrello, riferiva che l'Orba aveva già iniziato ad uscire da1 suo letto (ignorando che questo fatto era già avvenuto alle ore 11). Nella zona sottostante al paese, detta Mulino, nel magazzino adibito a trasporto ghiaia con i cavalli c'era Vincenzo Picollo, in apprensione per la moglie Gina Ottria che si trovava nella loro casa alla cascina Ospedale. Con lui c'era anche il figlio Giacomo, di 13 anni (futuro Sindaco capriatese) che andava e veniva dal cortile al negozio di alimentari e tabacchi gestito dalla nonna. Vincenzo vedendo l'Orba invadere i prati tentava più volte di raggiungere la moglie e gli altri due figli alla cascina Ospedale, ma il cavallo non voleva saperne dell' acqua: aveva più volte scartato e si era anche imbizzarrito.
Verso le ore 12,30, nel lontano bacino di Ortiglieto l'acqua iniziava a tracimare sopra le due dighe fino a raggiungere poi 2-3 metri sopra i rispettivi coronamenti. A Capriata, sempre con cielo nero, continuava a piovere forte e tutti gli abitanti erano in casa a pranzo.
Alle ore 13,15 avveniva il disastro: nel bacino artificiale di Ortiglieto la diga secondaria "Sella Zerbino" crollava e circa 18-20 milioni di metri cubi d'acqua e fango (18-20 milioni, capito?) scendevano a valle travolgendo tutto. Intanto a Capriata Maria dra Gura, dopa aver mangiato i taglierini, ritornava a casa sua in via S. Antonio per il riposino pomeridiano della piccola Massima. La maggiore, Franca, si recava invece a Castelvecchio, sull' alto piazzale dell' Oratorio di San Giuseppe, e lì, come da tradizione, diverse persone già sostavano osservando i campi ed i prati tutti allagati. Poco dopo arrivava anche Maria e la sorella Angiolina sempre preoccupata.
Alle ore 14,07 1'ondata di piena raggiungeva il Borgo di Ovada provocando 102 vittime.

A Capriata, sul piazzale sopraelevato della Confraternita di San Giuseppe, molti spettatori si animavano, discutevano mentre l'acqua arrivata al sottostante mulino continuava ad alzarsi. La giovane Pìpi sentiva alcuni uomini che, sporgendosi da sopra il parapetto del piazzale, gridavano a Gustu u Limparò che lavorava con il cavallo davanti a casa sua, di scappare velocemente.
Intuendo forse qualcosa di anomalo alcuni uomini mandavano il sacrista Kecco della Confraternita a suonare le campane a martello e la Pìpi, ricordandosi bene, sentiva sua madre Angiulina gridare: "Kecu so-ina pi fortu ch'i posa scapò!" (Kecco suona più forte che possano scappare!). L'invito era diretto ai due fratelli di Angiolina e Maria residenti nella cascina Gorra visibile da quel punto d'osservazione.
Intanto alla cascina Ospedale, sulla sponda sinistra dell'Orba, per quattro famiglie iniziava l' emergenza. Carlì Arata con la moglie Màina, Ie figlie Ada e Rina vedendo l'acqua in crescita che aveva invaso il cortile, salivano al piano superiore ed invitavano pure ad unirsi a loro Gina Ottria con i suoi due figli. La donna però, con una certa soggezione, preferiva restare in casa sua dicendo che non faceva differenza: "se va giù la mia (casa) va giù anche la vostra". Rina, la figlia di Carlì Arata, si fermava in camera da letto mentre gli altri componenti della famiglia uscivano sul tetto, passando dal lucernaio, insieme a Tonietta la Buscajora.
Nella casa a fianco Cristoforo Dellacasa, la moglie Cristina i figli Enrico e Margherita salivano pure loro sul tetto, passando dal lucernaio, raggiungendo Carlì dopo l' invito di stare tutti insieme.
Elvira, la figlia della Buscajora, rimasta sola non voleva andare sul tetto a bagnarsi, ma vedendo l'acqua alzarsi, ed incitata dagli altri, raggiungeva velocemente il solaio. Non potendo pero salire sul tetto, perchè sprovvisto di abbaino, prendeva un' asse, sfondava il sottile muro divisorio verso i Dellacasa, fino ad uscire unendosi alla madre e a tutti gli altri.
Gina Ottria, moglie di Vincenzo Picollo, salita al piano superiore in camera da letto con Eva di 11 anni ed il piccolo Luigi di 20 mesi metteva quest' ultimo nella culla poichè faticava ad addormentarsi. Intanto tutte le persone sopra al tetto, presi dallo sconforto, dalla paura, ed intuendo una piena "diversa", iniziavano a pregare la Madonna.

Frattempo smetteva di piovere forte. Alla cascina Gorra l' acqua misurava un metro. Angiulì, preoccupato, non raggiungeva i suoi famigliari ma restava sul pezzo della sua cascina dove sotto c'era la stalla con le bestie. Batista, fratello di Angiulì, dopo che la figlia Vittorina con i garzoni avevano messo i vitelli sulla cascina facendoli passare dal buco dove si getta il fieno nella stalla, mandava tutti a mangiare. Costoro, per raggiungere il breve tratto fra stalla e casa, utilizzavano la barca. Nel frattempo Batista, dopo aver messo i suoi maiali al sicuro sopra lo stabbio insieme alle galline, saliva sul piccolo tetto di quel pollaio a controllare la situazione.
Poco lontano, alla cascina Poirino ed in posizione però sopraelevata, Giulia Traverso con i fratelli ed altri ragazzi andava a pescare vicino alla scomparsa cascina Pagliara poichè le piene del torrente lasciavano spesso nelle buche diversi pesci grossi. Come già detto, avendo smesso di piovigginare, piantavano gli ombrelli per terra ai margini di dove arrivava l' acqua.
Alle ore 14,30 circa, ipotesi mia, l'ondata di piena proveniente dal bacino di Ortiglieto e con un fronte di due chilometri, raggiungeva il territorio capriatese.
Alla cascina Passalacqua, la prima a trovarsi secondo il senso di marcia del torrente, grazie al grosso albero di pero cresciuto davanti alla casa, che all'occasione ha fatto un po' da deviatore, Angiulì dra Posalocqua e sua madre anziana, saliti sopra il tetto, si salvavano.
La nostra passerella in ferro, con la sua lunga fiancata di 140 metri, purtroppo offriva uno sbarramento ai tronchi d'albero sradicati e trascinati fortemente dalla grossa ondata. Dopo colpi fortissimi il sostegno centrale in ferro cedeva, i cavi si strappavano ed il lungo tavolato imbullonato veniva travolto e portato in territorio di Predosa tutto arrotolato.
Alla cascina Ospedale un grosso albero, con le radici alte come il primo piano, fermatosi davanti alla casa deviava la grande ondata che travolgeva però la parte centrale del fabbricato. Crollava la parte abitativa di Elvira, una parte dei Dellacasa e una parte della famiglia Picollo. Purtroppo di quest' ultima proprio quella con la cucina e la camera superiore con dentro Gina, Eva, ed il piccolo Luigi nella culla. Sopra il tetto tutti gli altri si aggrappavano dove possibile e si salvavano.
Màina Arata, nonostante i ripetuti consigli di rimanere sul tetto, poco prima scendeva al piano terra per salvare la damigiana dell' olio.
L'ondata entrata all'improvviso dalla porta e finestra, riusciva ad uscire da quella posteriore travolgendola e, successivamente galleggiando, lei riusciva ad grapparsi ad uno di quei ganci murati sulla volta. Fortunatamente il livello si fermava ad un palma dal soffitto permettendole di respirare.
Pochi attimi prima, vicino alla cascina Pagliara dove i ragazzi cercavano i pesci nelle pozze, Giulia si accorgeva che l' acqua era arrivata a metà degli ombrelli piantati per terra. Lo gridava agli altri ed abbandonavano tutti il luogo. Girandosi verso Ovada Giulia ricorda di aver visto una colonna d' acqua scura avanzare ed in lontananza gli alberi cadere come i fiammiferi. Gridava di scappare dal Cascinotto del Bafì (che si trova lì vicino sopra un pianoro e dove l'acqua non era mai arrivata), ma superata la cascina Palazzina salivano invece a destra, sul pianoro della villa Pollarola. Pocodopa riusciva a vedere l' ondata alta e spaventosa creare fumo o polvere contro l'Ospedale, distante circa 100 metri, e vedeva pure cadere un pezza di cascina e poi la culla trascinata dalla corrente.

Batista, alla cascina Gorra, doveva aver vista arrivare l'ondata in lontananza. Gridava agli altri di andare nella casa vecchia e di gettargli un canvo (grossa corda). Nel frattempo tutti i presenti in casa (compreso il Maresciallo ed il carabiniere) raggiungevano, al piano superiore, la stanza di Guassardo Maddalena, madre di Batista e Angiulì. Dalla casa, non potendo buttare la corda iniziavano a legare delle lenzuola ma quando provavano a lanciare era tardi. Grazie alle piante di noci del lungo viale di accesso alla cascina, che avevano fermato i travi appena crollati dal tetto di Elvira (dell'Ospedale) ed altri tronchi trascinati dalla piena, si formava una piccola diga che frenava leggermente e centralmente la furia dell' ondata. Questa però si imbatteva nel lato della prima costruzione, il portico di Angiulì, travolgendolo. Salvava invece il fabbricato della stalla e cascina con sopra Angiulì e anche la costruzione abitativa in quanto costruita per il lungo (sud-nord), cioè nel senso della piena. Attraversando il cortile purtroppo centrava il pollaio in fondo, che faceva da piccolo sbarramento, con Batista sopra il tetto. L'uomo cadeva in acqua, emergeva, si aggrappava ad un gelso galleggiante e mentre la corrente lo trascinava via riusciva a fare un gesto di saluto ai suoi cari ed a mandare anche un bacio con la mano.
Sulla ormai gremita piazzetta di Castelvecchio tutti vedevano all'improvviso giungere da Ovada un muro d' acqua scura avanzare veloce e poco dopo alzarsi un grande polverone in corrispondenza della cascina Ospedale. "Sono i camini!" gridava qualcuno, invece era la casa di Elvira e dei Picollo che crollava.
Pochi istanti dopo fra sguardi increduli si sentiva: "Guarda, l' Orba sta portando via il letamaio di Angiulì!", ma Maria precisava: "No, è il portico d' Angiulì, non vedete tutti i covoni ancora da battere?". Era infatti la struttura del tetto che galleggiando stava andandosene via. Erano passati pochi attimi ed i presenti pensavano che alla Gora fossero tutti morti. Poco dopo, dalla cascina Ospedale, tutti vedevano ra Buscajora, sul tetto di Carlì, che sventolava un lenzuolo.
Dal Borgonuovo alcune persone raggiungevano il bivio del cimitero e vedevano, sopra i tetti della cascina Passalacqua, Carlì e sua madre che, pure loro, sventolavano un lenzuolo.
Sul tetto della cascina Ospedale i sopravvissuti chiamavano gli assenti: non rispondeva Gina ed i suoi due figli. Sentivano solo Maìna lamentarsi che, fra l'altro, si sarebbe trovata sul corpo un mucchio di ematomi causa i colpi delle botti che, galleggiando, le avevano sbattuto contro.
Alla cascina Gora, tutti speravano (e pregavano) che Batista, aggrappato al tronco, si fosse salvato.
Alle ore 17-18, vedendo l' acqua scendere le persone dell' Ospedale ricevevano la visita di Pidrì della cascina Zerba che con la trabichera (tipo di carro) ed i buoi, tastava con un bastone dove pater passare. A tarda sera giungeva trafelato anche Vincenzo Picollo che, lascio a voi immaginare, si lasciava andare dalla disperazione.
Alle ore 19 tornavano da Voghera, in bicicletta, Michele e Gianotu. Quest'ultimo per colpa della nitta presente sulla strada al bivio Iride scivolava e cadeva. Arrivati a casa e saputo del disastro, sempre con la bicicletta, partivano per Ovada e attraversata l'Orba sopra il ponte della ferrovia, per la strada di Rocca raggiungevano la cascina Gora. Sarebbero poi arrivati all'indomani mattina ancora buio.
Alle ore 20 circa l'Orba, sempre "grossa", rientrava nel suo letto lasciandosi dietro i segni della sciagura. Armando (u Ru-su) la attraversava a nuoto per andare a vedere alla Gora cosa era successo, ma la corrente lo portava a valle di oltre duecento metri e quando arrivava sull'altra sponda si aggrappava alle ...gambe di un cadavere.
Per quella notte la famiglia di Carlì Arata dell'Ospedale trovava assistenza e conforto alla cascina Zerba, gli Arata della Gora anche loro alla Zerba da Pierino Sericano, i Dellacasa da Cicotu Traverso (padre di Giulia) alla cascina Poirino.
Giorni dopo i sopravvissuti dell' Ospedale, diranno di aver pregato tanto e di aver anche visto comparire la Madonna del Rosario sopra la cascina Orsina che trovasi sulla parte sinistra dell' Orba guardando in direzione di Ovada. (Testimonianza di Dellacasa Enrico raccolta dal sottoscritto iI 28-10-05).
Gina Ottria, moglie di Vincenzo Picollo, veniva trovata morta fra Fresonara e Bosco Marengo insieme ai figli e riconosciuta grazie ad una catenina d'oro con medaglietta. I suoi funerali, insieme a quelli dei figli, avvenivano pochi giorni dopo e sono documentati dalle foto scattate dal maestro Cavalli. Sono visibili due casse portate a spalle e la più piccola nascosta dietro al prete e portata a mano da due "Avanguardisti".

Giovanni Battista Arata fu Giacomo, della cascina Gorra, veniva trovato dopo otto giorni a Bosco Marengo e riconosciuto dal fratello Angiulì per via di una cicatrice sulla gamba. Ecco perchè il suo funerale non era avvenuto insieme a quelli dei Picollo. Alla celebrazione funebre di quel mattino era presente la banda del paese ed i massimi rappresentanti fascisti della zona, in quanto lo sfortunato e coraggioso uomo, oltre ad essere "consultore comunale" e rappresentante dell'Unione Provinciale Fascista degli Agricoltori ricopriva, il quel periodo estivo, il ruolo di Podestà poichè l'avv. Mario Traversa, Podestà in carica da giugno, si trovava in ferie.
Le bestie di Dellacasa morivano tutte tranne il bue (Pavo) che trascinato verso valle ritornava nuotando vicino alla stalla, finchè la seconda volta riusciva a trovare un luogo per salvarsi. Abbastanza malconcio avrebbe perso solo la coda! Tutte le bestie di Angiulì perivano mentre i due buoi grigi di Batista essendo riusciti a strappare la catena, sopravvivevano.
Oggigiorno se qualcuno volesse rendersi conto dell' altezza dell' ondata di piena può vedere un residuo di segno (in colore blu) ad altezza circa di metri 1,60 sullo spigolo della casa del "Limparo" sita sulla provinciale Novi-Ovada (dopo la caserma dei Carabinieri a destra). Altro riferimento e visibile presso il capanno diroccato, dove iniziava la diga di Predosa, con tanto di targa in cemento sotto un segno rossastro.
A Capriata l'ondata causava 4 morti: Giulia Ottria in Picollo di 42 anni, i figli Eva di 11 anni ed il piccolo Luigi di soli 20 mesi (tutti e tre nella cascina Ospedale) e Battista Arata di 44 anni, (della cascina Gora). A questi quattro si sommavano i 102 di Ovada secondo il "Monitore Parrocchiale" (contro i 97 dichiarati) , 3 di Molare, 7 Cremolino. Per questo tragico evento ad Ovada il 14 agosto giungeva in visita (vestito da borghese) il Re Vittorio Emanuele III e,d il 15 agosto S.E. Starace segretario del Partito Fascista.
Per poter far fronte alle impellenti spese il16 agosto il Comune capriatese elargiva un contributo alle famiglie sinistrate: dava ordine di pagamento a Ferrando Andrea di lire 150, Dolcino Giuseppe lire 100, Arata Carlo lire 250, Della Casa Cristoforo lire 25, Lago Antonietta lire 250.
II 18 agosto pagava alcune fatture per una corona di fiori per le “vittime di Ovada" e tempo dopo anche la tipografia Sartorelli di Novi per 25 manifesti funerali delle vittime dell' inondazione e per 25 manifesti funerali di Arata.
In quel clima di disastro estingueva il conto della ditta Macciò per la fornitura di calce in polvere di ql.3,50 da mettere sopra alle bestie morte ed anche lire 200 per numero 4 casse funebri per cadaveri "rinvenuti a seguito inondazione" (così è scritto nella fattura).
II 21 agosto il Podestà avv. Traverso, ancora in ferie, scriveva al segretario Comunale: "Bisogna decidere per il recupero materiale della passerella e per l'impianto della pedanca. La prego radunare per oggi alle ore 17, 1) la consulta 2) il geom Pizzorno 3 )il capo degli acquaroli 4) il tecnico che ha costruito la passerella e che trovasi occasionalmente a Capriata in villeggiatura. Bisogna non appena arriva la salma Arata e fissati i funerali telegrafare a s.e. in questi termini: "giunta da Ovada salma camicia nera Consultore Arata. Funerale ... ore... Occorre anche telegrafare al Colonnello Guassardo in questi termini: "comunicate tue condoglianze famiglia Arata. Salma recuperata. Funerali ... ore.... Per questi telegrammi potrà attendere oggi al mio arrivo. Mandi a leggere lettera colonnello Guassardo ala famiglia Arata. Cordiali saluti."
Controllando la nota spese lo stesso giorno il Comune pagava lire 100 per una corona di fiori con nastro, mentre il giorno dopo, 22 agosto, si svolgevano i funerale di Arata Batista con una forte partecipazione di persone come risulta visibile dalle fotografie scattate.
Ritomando alIa nostra passerella tutta rotta ed arrotolata, in quei giorni di lutto arrivava una lettera dell'ing. Enrico Ceppi tirato in causa dal cav. Attilio Norando di Capriata d'Orba. Costui rispondeva di essere disponibile a incontrare il podestà per un colloquia sulla riparazione e messa in opera della passerella costruita dall' officina Conte.....

(eventuali errori ortografici sono esclusivamente imputabili alla fase di digitalizzazione del testo cartaceo e sfuggiti alla mia attenzione)

Note a margine:

Può una semplice passerella essere protagonista di un libro? Certamante, se essa ha rivestito un'importanza fondamentale per la gente del luogo e se ha avuto una storia da raccontare ! E' proprio il caso della passerella di Capriata d'Orba, posta alcuni chilometri a valle di Ovada.
Una lunga storia che ha inizio nei primi anni del '900 quando i poveri "Oltreorbini", cioè le numerose famiglie che abitavano sulla sponda dell'Orba opposta rispetto a Carpiata, rischiavano perennemente la pelle durante i guadi. Dopo un ventennio di "tira e mola" nel 1927 ebbero la loro agoniata passerella. Il guaio fu che già un anno prima le O.E.G. ebbero la loro bramata Diga !

In questa pagina viene riportata la cronaca di quel maledetto 13 agosto 1935, quando l'ondata non solo distrusse la paserella, poi ricostruita e più volte insidiata dalle piene dell'Orba, ma uccise quattro persone: una madre con i suoi due figli ed un altro abitante del posto.

La cronaca è frutto delle numerose testimonianze raccolte da Mario Tambussa nato a Caprita d'Orba nel 1948, appassionato di usi, costumi e storia del suo paese che ha gentilmente concesso la pubblicazione in questo sito di uno stralcio del suo libro.

Si ringrazia sentitamente per la sua disponibilità e sensibilità

 

Mappa della sezione


Sito curato da Vittorio Bonaria vb.geolgmail.com oppure molaremolare.net