I Disastri simili

Itinerario 4: Il Disastro di Via Digione (Parte prima)

Digione, è il nome di una città francese famosa per la senape e per essere stata teatro il 1 luglio 1979 del duello automobilistico più famoso della storia della Formula 1: quello tra il leggendario Gilles Villeneuve ed il grande Renè Arnoux. Nella città di Genova il nome Digione è associato ad una pagina di storia recente molto triste. Il deleterio processo di rimozione dalla memoria di avvenimenti tristi non riguarda solo disastri accaduti tra sperduti boschi, ma può perpetrarsi anche in ambienti metropolitani. Nel caso in questione la testimonianza della sciagura è stata quasi completamente obliterata sotto un fitto manto edilizio in perenne evoluzione. Ecco come due eventi accaduti in epoche relativamente distanti, in ambienti differenti e riguardanti opere ingegneristiche diverse, possono presentare analogie sconcertanti, la principale fra le quali è quella che a perire sono state persone che nulla hanno avuto a che fare con le cause dei disastri.

Dalle antiche cave ai nuovi palazzi

Il lungo promontorio chiamato “Collina degli Angeli”, che dalle pendici dei monti liguri raggiungeva la Lanterna separando il grande quartiere di Sampierdarena dal centro di Genova, oggigiorno è quasi del tutto scomparso. La conformazione di questo settore di città è infatti cambiato profondamente nell’ultimo secolo sia dal punto di vista urbanistico che orografico. Il faro simbolo del capoluogo ligure un tempo costituiva l’estremità a picco sul mare della collina mentre adesso è arroccato sopra uno scoglio di roccia totalmente circondato dall’area portuale. Quella che un tempo costituiva la parte terminale della Collina gli Angeli, chiamata anche Colle di San Benigno, è finita in fondo al mare (dal quale in tempi remoti aveva avuto origine) a costituire i rilevati dei grandi pontili del porto. Il moncone roccioso che ne è derivato è ancora ben visibile. Alla sinistra dell’uscita autostradale Genova Ovest (Sampierdarena) è presente il versante occidentale della Collina degli Angeli mentre oltre il casello ed in prossimità del “Matitone” e dell’imbocco della “Sopraelevata”, volgendo lo sguardo verso monte, sono identificabili le pareti rocciose verticali sorrette da grandi contrafforti e contornate da palazzi e condomini. Proprio tra questi colossi verticali, lungo il versante orientale della collina rivolta verso il quartiere di Di Negro c'è Via Digione.

Le fotografie e le cartoline di inizio XX secolo mostrano l’imponenza della Collina degli Angeli e la particolare conformazione delle pareti rocciose costituenti il versante orientale. Viste dal porto apparivano come enormi piani inclinati che si immergevano con pendenze quasi costanti verso il mare. Questa configurazione donava al centro storico della città un panorama molto caratteristico ed era dovuta alla presenza delle grandi bancate calcaree della Formazione del Monte Antola, che a partire dal XVIII secolo venivano cavate ed utilizzate in campo edile (in gergo commerciale si parlava appunto di “Pietra di Promontorio”). L’orientazione di queste bancate era infatti ideale per ottenere grandi blocchi che potevano essere fatti scivolare direttamente sulla superficie di strato. Ciò doveva essere naturalmente fatto con grande attenzione per evitare pericolosissimi crolli con gravi conseguenze per i cavatori.

 

Quando le ultime cave chiusero i battenti (la più famosa, la “Cava della Chiappella”, venne dismessa intorno al 1910) il Colle di San Benigno venne progressivamente smantellato aprendo nel 1930 un primo varco che consentiva il collegamento rapido e diretto tra Sampierdarena ed il centro storico della città. In questo settore di raccordo il tessuto edilizio aveva iniziato pericolosamente ad avvicinarsi ai cigli ed alle basi dei vecchi fronti di cava. L’autorità municipale di Genova nel 1929 aveva preso atto di questa criticità e aveva vietato la costruzione “…di edifici sul ciglio ed al piede degli appicchi… salvo il caso che le fondazioni appoggino su roccia viva e compatta”. Nel 1929 però, molti palazzi separati da nuove strade, come Via Dino Col o Via Digione, erano già stati realizzati o in via di costruzione.

Il civico n.8 di Via Digione

Il quartiere di Via Digione costeggiava il piede del fronte della "Cava Sivori" lungo alcune centinaia di metri ed alto una cinquantina. Il nome della via deriva dal fatto che sino al XIX secolo, sulla Collina degli Angeli era presente l’Abazia di San Benigno (da cui il “Colle di San Benigno” per indicare la parte terminale del promontorio) fondata nel XII secolo da monaci provenienti dalla Francia e precisamente da Digione. Il civico n.8 era un condominio ultimato nel 1931, come indicato dalla targa in marmo apposta sopra il portone d’ingresso. E’ dunque presumibile che nel 1929 lo stabile fosse in via di costruzione o comunque il progetto a firma dell'Ing. Caviglieri fosse già stato presentato, sfuggendo alla nuova normativa comunale oppure aggirandola dichiarando che le sue fondazioni erano appoggiate in “roccia viva e compatta” (cosa peraltro veritiera).

Tutto ciò non ricorda sinistramente la storia della Diga Secondaria di Sella Zerbino costruita a detta delle O.E.G. su “solida roccia” (cosa peraltro falsa) ed il cui progetto esecutivo era stato presentato pochi giorni prima dell’avvento della nuova e più strigente normativa sulle dighe del 1921?

Il palazzo comprendeva 8 piani e ben 124 appartamenti ed aveva un ingombro in pianta di circa 30x40 m con altezza approssimativa di 25-30 m. Il prospetto verso ovest si affacciava sull’ex fronte di cava che aveva pendenze tra i 45° ed i 70° pari cioè all’inclinazione delle imponenti bancate calcaree visibilmente incurvate. Una simile configurazione di versante viene definita in gergo tecnico “a franapoggio” (il che non promette nulla di buono…) anche se occorre precisare che essendo gli strati inclinati quanto il versante, essi erano in grado in via teorica di auto-sostenersi appoggiandosi al piede. Questo in via teorica.

Successivamente alla realizzazione del condominio si era pensato di dare un po’ più di respiro al suo sedime ampliando il piazzale circostante mediante la realizzazione di un giardino ed un piccolo campetto da gioco. Come se ciò non bastasse nel 1943 alla base del fronte di cava era stata scavata una galleria (sezione 5x4 m con slarghi ogni 10 m) a forma in pianta di U che fungeva da rifugio antiaereo per gli abitanti del luogo. L’impulso edificatorio di quegli anni non aveva interessato unicamente la base dell’ex-cava ma anche il soprastante ciglio lungo il quale correva l’antica Salita degli Angeli. Altri palazzi furono quindi realizzati mentre, proprio sopra il civico n.8 di Via Digione, dal 1938 una porzione della dorsale collinare venne adibita a vivaio con serre munite di condotte d’acqua per l’innaffiamento. Vennero inoltre realizzati dei riporti grazie ai quali si ottennero dei terrazzamenti (“fasce”) per la coltivazione sostenuti da piccoli muri posti proprio a filo del dirupo.

Con tali premesse la vita del condominio era destinata ad essere segnata da perenni problematiche relative a più o meno piccoli smottamenti di materiale roccioso che ogni volta necessitavano di operazioni di pulizia alla base. Vennero inoltre realizzati alla base del dirupo dei muretti per il contenimento e dei piccoli contrafforti in cemento. Ma nell’ottobre del 1944 (una data non casuale come si può vedere nel trafiletto a lato di questa pagina) alcune centinaia di metri cubi di roccia si staccarono dal ciglio (area vivaio) precipitando nel sottostante piazzale e causando danni e grande spavento ai condomini. Ciò diede l’avvio a decennali diatribe giuridiche tra il condominio ed i “Fratelli Firpo” proprietari del vivaio. Quest’ultimi, furono costretti negli anni ’60 a realizzare delle opere di consolidamento in corrispondenza dei loro terrazzamenti.

Ciò nonostante ogni qual volta che su Genova di abbatteva un temporale un po’ più forte del solito in via Digione si incrociavano le dita proprio come soleva fare tra il 1925 ed il 1935 il buon guardiano Abele Deguz, lassù in Loc. Bric Zerbino, vedendo il livello del lago salire pericolosamente durante le piogge.

Il disastro del 21 marzo 1968

Nel pomeriggio del 21 marzo 1968 alla bocciofila San Teodoro di Via Digione, gli avventori dovevano accontentarsi di qualche mano a carte, perché l’intensa pioggia non consentiva altre attività dilettantesche. Il Sig. Giuliano Solari, si era affacciato all’uscio, posto frontalmente al civico n.8 osservando la pioggia che dalle 17.30 scrosciava sulla strada e sulla parete di roccia. Lui ed altre persone, avevano notato che la parete di roccia e le murature dei contrafforti realizzati alla base presentavano delle crepe via via sempre più larghe. Nnel condominio alcuni abitanti vedendo tali movimenti si precipitarono lungo le scale per uscire. Fu questione di attimi, come sempre in questi casi. Sembra di vederlo il Sig. Solari che gettando via la sigaretta urlava “Guardate, si muove!”. “Sei matto!” replicavano gli amici. Erano le 18.40. Il piede del fronte roccioso si stava improvvisamente animando ed incredibilmente avanzava di metro in metro, sempre più veloce, quasi a voler sferrare un calcio ai garretti del condominio. In effetti è proprio quel che successe. Oltre 15.000 metri cubi di roccia precipitarono, anzi scivolarono, colpendo violentemente e vilmente la base del palazzo. L’impatto sarebbe stato percepito in tutta la città tanto da far credere ai Genovesi che fosse precipitato un aereo. L’intero prospetto Ovest del condominio collassò nel giro di pochi secondi davanti agli sguardi attoniti di chi suo malgrado si trovò ad assistere alla tragedia. Una nube di polvere si levò verso cielo ad abbracciare le pioggia. Poi attimi di silenzio, quasi che il tempo si fosse fermato. Poco alla volta si levarono le grida dei condomini spaventati, quelli che abitavano dal lato opposto rispetto alla frana. Illesi stavano fuggendo dallo stabile.

La polvere intanto si stava velocemente diradando grazie alla pioggia, rendendo visibile a tutti l’entità del disastro. Un terzo dell’edificio era completamente crollato e dalle macerie affioravano lamenti e richieste di aiuto. I soccorsi non tardarono ad arrivare e per tutta la notte i pompieri scavarono alla ricerca di sopravvissuti e corpi. Le operazioni erano molto difficoltose a causa dell’elevatissimo pericolo di ulteriori crolli di roccia. Alcune salme sarebbero state recuperate molte settimane dopo. Le vittime furono ben 19, tra le quali Francesco di Jorgi (42 anni), la moglie Giuseppina De Vito (39 anni), il figlio Marco (2 anni) i fratelli Mario e Lucia Alessio (rispettivamente 12 e 7 anni) e la madre Maria Collia (41 anni). Famiglie cancellate mentre erano nelle loro abitazioni in un tardo pomeriggio genovese. Le madri che cucinavano, i bambini che giocavano o facevano i compiti, i mariti si preparavano per cena. Voci, suoni e odori di famiglia… tutto in un attimo finito. Cancellato.

Itineriario 4. Il Disastro di Via Digione (Parte seconda)

Note a margine :

A settant'anni dalla strage di San Benigno:
10 ottobre 1944-2014

La realizzazione di questo nuovo itinerario storico mi impone un cenno ad un altro grandissimo disastro accaduto proprio 70 anni fa a Genova e a poche centinaia di metri da Via Digione.

Il “Colle di San Benigno”, porzione terminale della Collina degli Angeli, era attraversato da un fitto dedalo di gallerie ferroviarie e raccordi portuali che fungevano durante la Seconda Guerra Mondiale anche da rifugi antiaerei e da Santabarbara (depositi di armi, munizioni e oltre 12.000 tonnellate di esplosivo!).

Molte di queste gallerie, poste a monte dell’attuale moncone roccioso presente tra Sampierdarena e Di Negro, sono ancora utilizzate, come per esempio la galleria ferroviaria di San Lazzaro (tra Via di Francia e Porta Principe) che è percorsa da centinaia di treni ogni giorno. Altre invece sono dismesse, oppure sono state demolite successivamente alla realizzazione di opere più recenti. Altre ancora sono andate perdute e sono oggetto delle ricerche di alcuni appassionati di “speleologia metropolitana”.

Alle 6.45 del mattino di martedì 10 ottobre 1944 una gigantesca esplosione distrusse porzioni delle gallerie di San Lazzaro, LIbania, San Benigno ed Assereto danneggiandone gravemente altre posizionate nelle vicinanze come le gallerie Landi e Passonuovo. Il numero di vittime è imprecisato ma realisticamente supera le 1.000 unità. Altre stime parlano addirittura di 2.000-3.000 morti!

L’unico concreto tentativo di una ricostruzione storico-documentale di questa strage dimentica è stata fatta nel 2004 dal giornalista di destra Raffaele Francesca (1938-2008) nel suo libro introvabile e sconosciuto intitolato “San Benigno: silenzi, misteri, verità su una strage dimenticata” (NovAntico Editrice, 2004).

La gigantesca esplosione determinata dalle grandi quantità di esplosivo stoccate in prossimità dell’area portuale e della Caserma di San Benigno, distrusse un intero quartiere di palazzi posto nelle immediate vicinanze del colle (70 famiglie spazzate via) e uccise, oltre a molti militari italiani e tedeschi presidianti l’area, un numero elevatissimo di persone che usualmente risiedevano nei rifugi antiaerei sotterranei. Questa esplosione ebbe conseguenze anche nella precaria stabilità del fronte roccioso di Via Digione, posto ad alcune centinaia di metri dall’epicentro dell’esplosione, tant’è vero che proprio nell’ottobre 1944 si ebbe un crollo di parecchi metri cubi di roccia precipitati nel cortile del condominio.

Cause della sciagura

La causa ufficiale del disastro fu la caduta di un fulmine che colpì un convoglio ferroviario in sosta che trasportava munizioni. La mattina del 10 ottobre Genova era stata effettivamente interessata da un violento temporale.

Nel suo libro Francesca fa notare che la Santabarbara dei tedeschi era posizionata nelle profondità del colle e difficilmente un fulmine avrebbe avuto possibilità di innescare gli esplosivi. Altre teorie propendono che la causa dell’esplosione fosse imputabile ad un errore commesso dagli stessi tedeschi, oppure ad un attentato dei servizi segreti alleati. L’autore Francesca invece sostiene che a causare l’esplosione sia stata una sconsiderata oltre che mal organizzata azione partigiana. Tale tesi viene sostenuta da materiale documentale assai interessante. Nella sua ricostruzione storica dei fatti immediatamente successivi all’evento, emergono fatti che corroborerebbero tale tesi.

Al di là di alcune prese di posizione ideologiche, per altro presenti a parti invertite anche nella letteratura partigiana, consiglio di andare alla ricerca di questo libro contenente anche alcune belle foto riguardanti questo disastro.

Anche gli autori Sergio Pessot e Piero Vassallo nel loro libro “A destra della città proibita” (Ed. Terziana, 2004) ipotizzano che a far saltare la galleria fossero i partigiani per timore che l'arsenale potesse essere utilizzato contro di loro e contro gli alleati durante la liberazione di Genova.

L'ANPI ha da sempre negato ogni coinvolgimento partigiano nella sciagura del 10 ottobre 1944.

Nel 2003 Giampaolo Pansa pubblicò il discusso libro “Il sangue dei vinti” evidenziando, cosa per altro nota, che la storia ufficiale viene scritta sempre dai vincitori. Si parla frequentemente di revisionismo storico: ciò non può valere per la strage di San Benigno della quale non è mai stato scritto nulla ed stata completamente dimenticata e cancellata (Francesca direbbe occultata).

Le numerosissime vittime (si tenga presente che nei rifugi antiaerei di San Benigno alloggiavano soprattutto donne, bambini e vecchi) non erano né vinti né vincitori bensì innocenti.

Nel 2000 l'amministrazione comunale di Genova si degnò di apporre un'anonima targa commemorativa con la scritta "A RICORDO DELLE VITTIME INNOCENTI NELL'ESPLOSIONE DELLA GALLERIA DI S.BENIGNO IL 10 OTTOBRE 1944 IL COMUNE DI GENOVA POSE OTTOBRE 2000" in sostituzione di una precedente che recitava semplicemente "VITTIME DELLA GALLERIA DI SAN BENIGNO 10-10-1944". Oggettivamente è lecito chiedersi il perchè di una simile reticenza nel ricordare un così grande numero di vittime innocenti.

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